Randagio a chi?
06 dicembre 2012, il Quotidiano della Calabria denuncia la “mattanza di Villa Gagliardi”: decine di cani e gatti trovati morti per avvelenamento. Parte dei lettori considereranno ad oggi la vicenda come superata e non più interessante, ma là dove il tempo della semplice cronaca termina, comincia quello della critica e dell’analisi. Il fatto è conseguenza di una sola mente malata o di una mentalità che lo è?
Il comunicato del WWF non lascia spazio a dubbi, apostrofando l’accaduto come “ennesimo e drammatico esempio di una mentalità zoofoba”. Naturalmente la dichiarazione può aver infastidito quanti non riconoscono Vibo come soggetta a tale problematica: a Vibo, come in altre città italiane, i proprietari di animali aumentano continuamente e cani e gatti continuano ad essere molto amati e richiesti dalle famiglie. Perché l’azione di uno solo dovrebbe coinvolgere una comunità intera? Forse perché la mattanza di dicembre può essere considerato un atto criminale indotto da un problema che la città si portava dietro da parecchi mesi: la stragrande maggioranza dei cittadini ha avuto modo di accorgersi del crescente numero di randagi che andavano ad affollare le strade, specialmente nelle ore notturne e serali, randagi che, specie se in gruppo, possono costituire un pericolo per le persone. Molti hanno denunciato la tendenza ai giornali locali e alle forze dell’ordine. Ovviamente la soluzione immediata stava nell’impiego di accalappiacani e nello smistamento degli animali nei canili limitrofi (tenendo presente che secondo la legislazione italiana, con l’attributo “randagi” si intendono i soli cani) e tale soluzione, dopo essere stata lungamente e vanamente caldeggiata è stata approntata troppo tardi o perlomeno non in tempo per evitare alla cittadinanza l’onta di un richiamo da parte dell’istituzione più nota per la difesa della fauna. Niente può giustificare la mattanza avvenuta, ma per un’amministrazione riuscire a prevenire con prontezza ed impegno e sicuramente più facile e gratificante rispetto al perseguire (difatti il reato è rimasto impunito). Capitolo a parte, da prendere in esame in altra occasione, è quello della condizione dei canili nel vibonese, problema che accomuna tristemente tutta Italia. Inutile domandarsi perché tali strutture siano così strettamente accomunate nell’immaginario ai lager e i gulag degli anni ’30; più opportuno è, però, chiedersi se si possa agire in qualche modo per evitare che tanti randagi vadano a popolarli, se si possa evitare che tanti animali, un tempo domestici, si ritrovino a vivere sulla strada.
Il numero di animali fuggiti dalla propria dimora, così come quello di randagi nati randagi, è indiscutibilmente inferiore a quello degli animali abbandonati dall’uomo. Premesso che le motivazioni degli abbandoni sono svariate e non riconducibili tutte alla semplice noia dei proprietari, l’azione resta esecrabile e ingiustificabile. Per una città come Vibo sarebbe sicuramente più legittimo avere maggiori risorse infrastrutturali destinate agli animali domestici, così da indurre proprietari e famiglie a tenere più in considerazione il proprio animale, ma in tempo di crisi la richiesta di investimenti può essere facilmente fuorviata; la strada giusta per “limitare i danni”, per una volta, la traccia il governo centrale: da tempo l’Italia porta avanti una forte campagna di sensibilizzazione e anche noi dovremmo cominciare ad agire in tal senso, con azioni ed eventi nostri. Fiere, feste, mostre e manifestazioni, per ricordare alla città perché il cane è il migliore amico dell’uomo… e se qualcosa già la si sta facendo, non teniamola nell’ombra, ma promuoviamola nella Regione e nel Paese. La “mattanza di Villa Gagliardi” sarà opera di un individuo deviato, estraneo alla nostra comunità: sarà lui il vero randagio.
Domenico Ferrari.